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le diecimila cose

Si potrebbe dire che ogni parola è una metafora ormai morta. Il poeta argentino Leopoldo Lugones sosteneva che i poeti usassero però sempre le stesse metafore e che lui stesso avrebbe provato a escogitare una centinaio di nuove metafore sulla Luna nel suo Lunario Sentimental. Poi però ti capita sotto mano una illustrazione, che una amica molto dotta di cultura e arte orientale ha appeso al muro e che illustra alcuni neologismi in cinese.

2014-05-15 12.40.18

 

Mi colpiscono le ultime due: il ricco sfigato che è uno scarafaggio senza ali, e il tamarro che è uno sporco panino al vapore. Non sono un esperto ma credo che in una lingua scritta a ideogrammi le metafore siano davvero continue. Di certo so che i cinesi chiamano il mondo “le diecimila cose” o “i diecimila esseri” -a seconda della fantasia del traduttore-. Mi chiedo se sia davvero possibile pensare per immagini, come suggeriva Luigi Ghirri

Ghirri
Di certo serpeggia il dubbio (o la paura?) che la valanga di immagini che guardiamo e produciamo induca una sostituzione delle cose con la loro immagine. Viene in mente Borges che immaginava un a mappa grande quanto il territorio rappresentato e che per questo diventava inutile: “In quell’Impero, l’Arte della Cartografia raggiunse tale Perfezione che la mappa d’una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell’impero, tutta una Provincia. Col tempo, codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una Mappa dell’Impero, che uguagliava in grandezza l’Impero e coincideva puntualmente con esso. (L’artefice, Jorge Luis Borges, 1960)

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